domenica 8 luglio 2012

Nascita e sviluppo dei Ristoranti

Il ristorante, come luogo di offerta di cibo e bevande in pubblico, ha una lunga storia alle spalle.
Al tempo dei Romani gran parte della popolazione consumava i pasti sostando in locali semi-aperti adiacenti alla strada, non avendo a disposizione tutte le comodità di cui disponevano le famiglie ricche. Queste strutture erano chiamate “tabernae”, “thermopolia”, “popinae “ e “cauponae”.
La taberna era una sorta di trattoria in cui bere e mangiare, la taberna vinaria era più che altro una bottiglieria in cui si poteva bere vino e mangiare ceci, rape o salagione.
La popina corrispondeva alla nostra osteria dove si servivano a sedere, anche all'esterno, pasti caldi e fumanti (generalmente spezzatini caldi) accompagnati da bevande.
La caupona, simile ad un albergo, spesso con le stalle per i cavalli, offriva la possiblità di alloggiare e consumare cibo o vino.
Nonostante avessero una cattiva reputazione venivano frequentate anche da persone importanti. Le tabernae erano molto numerose. La popina era una trattoria dove il vino veniva portato ai tavoli solo per accompagnare i piatti del pasto.
Più povero della popina, era il gurgustium, che era una specie di bettola. Simili alle popinae erano le cauponae, o osterie di campagna.
C'erano, lungo le strade romane , anche i tabula, in cui vi era un posto non solo per i viaggiatori, ma anche per i cavalli.
Originariamente la taberna era dotata di una sola stanza ed utilizzata come deposito ed era, in genere, la bottega degli artigiani; si passò poi alle tabernae vinarie e a quelle che si specializzarono nella consumazione del vino e del pasto. La parola taberna cominciò ad indicare così il luogo in cui si beveva e si mangiava.
Le tabernae avevano un bancone di pietra, con cinque o sei contenitori murati, rivolti verso la strada; accanto al banco vi era un fornello con una casseruola piena di acqua calda; nel retro c'erano la cucina e le sale per la consumazione. Avevano una finestra in alto che dava luce al soffitto in legno del deposito ed un grande vano di apertura sulla strada. Un famoso esempio si trova nei mercati di Traiano, ma ve ne sono di altrettanto famosi anche a Pompei ed Ercolano.

Erano costituiti da uno o più ambienti. Importante era quello all’aperto sulla strada, fornito di un grande bancone in muratura sul quale spesso si trovava un piccolo fornello per scaldare l’acqua, ed erano poggiati contenitori di vario tipo. Nel bancone erano inoltre murati alcuni grandi orci per contenere il vino, e il loro numero indicava le tipologia offerte.
L’arredamento era essenziale: tavoli, sedie, sgabelli, panche di legno, e banconi in muratura. Qualche volta, nei locali migliori, le pareti erano abbellite da decorazioni a festoni o da drappi e ghirlande, se non addirittura affreschi che illustravano tipiche scene da osteria.

In seguito all'espansione dell'Impero Romano nel Mediterraneo, il numero delle tabernae crebbe in maniera esponenziale, aumentandone l'importanza commerciale nell'economia urbana di numerose città quali Pompei, Ostia, Corinto, Nuova Cartagine. Molte di queste città erano porti dove i beni di lusso e la merce esotica importata, veniva venduta al pubblico: le tabernae erano le infrastrutture che agevolavano gli scambi commerciali.

Il termine ristorante come è inteso oggi (dal francese restaurer, ristorare) comparve per la prima volta nel XVI secolo. Pare che il più antico ristorante europeo tuttora in esercizio sia il Sobrino de Botin, aperto a Madrid nel 1725. Il primo ristorante ad adottare la forma divenuta poi standard al giorno d'oggi (con i clienti seduti al proprio tavolo con la propria porzione, avendo inoltre la possibilità di scegliere la portata da un menu, durante specifici orari di apertura) fu la Grand Taverne de Londres, fondata nel 1728 da un uomo di nome Antoine Beauvillier. Sembra che il nome sia derivato dal motto "venite e io vi ristorerò" affisso nel primo locale di questo tipo.
Rito antropologico-culturale, il pranzo, inteso come modo e come spazio, subisce una rilevante modificazione nella civiltà occidentale tra ‘800 e ‘900. Se l’aristocrazia aveva elevato ad arte il consumo del cibo, fu poi la borghesia a immettervi una sorta di sacralità che non poteva più appoggiare sui valori di stirpe.
Il ritrovo pubblico diventa il luogo privilegiato dove, alla fine dell’800, si materializza il personaggio borghese. In questo periodo si incrementa una consuetudine comune a tutta la borghesia europea che inizia a da amare mostrarsi e consumare cibo in pubblico. L’incontro al restaurant francese, al caffè viennese, all’hotel londinese, diventano esigenze e consuetudini confacenti a quella peculiare configurazione sociale.

Aristocratico o borghese, pubblico o privato, lo spazio pranzo diventa uno dei temi privilegiati della nuova generazione di architetti europei. L’istanza dell’arte in tutto e dell’arte per tutti, concetto proprio dell’art nuoveau, si realizza appieno nel tema del consumo del cibo. Spazi e oggetti vengono progettati in modo che creino un unicum in cui tutto sia omogeneo, controllato.
C'è da dire infine che a differenza delle antiche tabernae romane, in cui la tipologia era abbastanza definita, oggi non esiste “il ristorante”, me un'infinità di ristoranti, ossia di modi e spazi di consumo del cibo, che variano a seconda dei paesi, delle culture, delle materie prime a disposizione, della storia. In virtù della globalizzazione che ha interessato anche il nostro paese, si può mangiare giapponese stando a Roma, seduti sul tradizionale tatami e usando le bacchette di legno,  come pure italiano a Bangkok!






Nascita e sviluppo delle gelaterie


La storia del gelato inizia un millennio prima di Cristo, pare in Cina.
Già nell'antica Grecia e a Roma era diffuso l'uso di prodotti simili a sorbetti e granite preparati con neve e ghiaccio naturale. L’abitudine di consumare le bevande ghiacciate, le “nivatae potiones” citate dal filosofo Seneca, o macedonie con frutta tritata finemente, miele e neve, tra una portata e l'altra, era molto diffusa, nei sontuosi palazzi imperiali, mentre nei popolari "Thermopilia", disseminati lungo le strade, si serviva l'idromele, che altro non era se non dell'acqua dolcificata col miele e raffreddata con neve o ghiaccio.
Il gelato così come descritto veniva anche acquistato per strada, grazie a carretti che sfrecciavano lungo le vie principali. Chiaramente si parla di gelato quando invece si dovrebbe dire sorbetto, visto che non veniva usato latte. Ma quella della gelato è una storia lunga e complessa e dalle origini incerte.
L'origine del gelato si fa risalire ai Cinesi, i quali già nell' VIII secolo A.C. avevano scoperto come conservare il ghiaccio invernale per poterlo usare in estate. Dalla Cina l'arte di congelare si trasmise agli Indiani e poi al Mondo Arabo.
Arabi e Persiani univano alla neve sciroppi di frutta, creando dei gustosi sharbet da cui discende il nostro sorbetto. Gli Arabi trasmisero l'arte del confezionare il sorbetto ai Siciliani, che ne furono poi i diffusori nel mondo. Poiché con il miele, unico dolcificante noto allora, non sarebbe stato possibile creare una granita, è grazie alla canna da zucchero che gli Arabi rinvennero in Sicilia, che fu possibile creare le prime granite.

Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e lo scisma tra Chiesa Cattolica e Ortodossa, avvennero grandi cambiamenti e nella vita degli uomini si persero tante di quelle raffinatezze che erano state fino ad allora patrimonio comune di molti popoli. Il Medio Evo quindi divenne in Europa un periodo nel quale il consumo di beni di lusso e di benessere andò fino a scomparire perché considerato fonte di peccato. Anche i gelati sparirono, ma non in Oriente, dove l' invenzione delle bevande fredde continuava a perfezionarsi.

Secondo alcuni, il gelato fu preparato per la prima volta da un fiorentino, che riuscì a gelare latte, zabaione, vino e frutta dandogli una consistenza cremosa. E lo servì in occasione delle nozze di Caterina De' Medici con Enrico II di Francia, e di qui il gelato italiano si diffuse in tutte le corti Europee.

Notizie più certe riguardo al gelato si hanno sul trezzoto di Francesco Procopio Dei Coltelli. Nel 1662, egli giunse in Francia e qui ideò una macchina che riusciva ad amalgamare crema, frutta, zucchero e ghiaccio in modo da conferire all'insieme una consistenza omogenea. Procopio utilizzò un'invenzione del nonno Francesco, un pescatore che nei momenti di libertà si dedicava allo studio di una macchina per la produzione di gelato la quale ne perfezionasse la qualità fino ad allora esistente. Il nipote prese l'eredità del parente e arrivò, dopo successivi perfezionamenti, al prototipo migliore, col quale partì per Parigi. Usando lo zucchero al posto del miele, e il sale mischiato con il ghiaccio per farlo durare di più, fece un salto di qualità e venne accolto dai parigini come geniale inventore: aprì nel 1686 un locale, il Cafè Procope. Dopo poco, dato l'enorme successo ottenuto, si spostò in una nuova e più grande sede (oggi in Rue de l'Ancienne Comédie), di fronte alla “Comédie francaise”. La sua bottega di caffè divenne presto famosissima per i gelati, raccogliendo gli apprezzamenti entusiastici di Luigi XIV. Se furono i toscani ad avere il merito di inventare il gelato, ben presto siciliani e napoletani ne detennero la specialità, i primi passando alla storia per la cassata, i secondi per lo spumone.
Inoltre a Procopio Coltelli spetta il merito di aver trasformato il gelato in un'impresa commerciale.
A partire dal 1700 le gelaterie e i caffè che servivano gelato si diffusero a macchia d'olio, dall' Europa alle Americhe; il gelato veniva prodotto artigianalmente in bacinelle immerse nel ghiaccio, acqua e sale. Una produzione industriale di gelato ha inizio solo nell'Ottocento, negli Stati Uniti: nel 1851 nasce a Baltimora il primo prototipo per la creazione del gelato non artigianale, grazie ad
un grosso commerciante di latte, Fussel, che nel tentativo di trasformare in crema ghiacciata le eccedenze di latte giornaliero inventò l'ice-cream.
In Europa la produzione industriale cominciò dopo la prima guerra mondiale.

Una delle prime rivendite commerciali di gelato italiane, realizzato tramite raffreddamento di gelato, zucchero e addensanti come la farina di carrube, risale circa al 1928 e cominciò la sua attività a Varese: consisteva in un carretto ambulante con un macchinario discendente da quello del caffè Procope. Tale rivendita fu certamente la prima nel nord Italia a portare il gelato a un livello popolare. In Italia il primo gelato industriale, firmato Motta, comparve sul mercato nel 1949: fu il "fiordilatte" cui seguirono le "coppette", il "sandwich" ed, infine, nel 1959 il "cornetto".

Curiosità: il sundae, la coppa di gelato newyorkese, più costoso è il Golden Opulence Sundae, venduto da un ristorante a New York City al prezzo di 1000 dollari. Il gelato è costituito da cinque palline di gelato Thaiti alla vaniglia del Madagascar, coperto da 23 foglie d'oro commestibile, caviale, cioccolato, frutto della passione, arancia, frutta candita di Parigi, marzapane, ciliegine ed è decorato con confetti di oro vero. Il gelato viene servito in un calice di cristallo Baccarat Harcourt con un cucchiaino d'oro a 18 carati.

Le gelaterie in senso stretto, oggi sono una minoranza rispetto a luoghi che offrono maggior differenziazione in termini di scelta dei prodotti. Infatti solitamente ci troviamo in compresenza di bar/gelaterie/caffetterie, a causa del fatto che comunque si tratta di imprese, e con il calo fisiologico di vendita del prodotto nei mesi invernali, le attività commerciali devono trovare altri servizi da proporre in alternativa al gelato. Ciò nonostante la caratteristica più evidente e standardizzata nella progettazione delle gelaterie è l'uso del colore. Inoltre nella progettazione di questi locali bisogna riservare spazio idoneo al laboratorio per la produzione del gelato, solitamente posto nel retro dello spazio vendita ed accessibile direttamente dall'area operativa.





Bar Caffetterie



I BAR CAFFETTERIE: BREVE STORIA

La prima “caffetteria” di cui si ha notizia, fu aperta in Turchia a Costantinopoli nel 1554. In Italia il primato spetta a Venezia dove nel 1683 (alcuni però anticipano questa data al 1615) in Piazza San Marco, sotto le Arcate della Procuratie, fu aperta la prima "bottega del caffè": il Caffè Florian. Era stato un medico-botanico, Prospero Alfino, che aveva soggiornato a lungo in Egitto, a scoprire la bevanda "di colore nero e di sapore simile alla cicoria". Pensò che anche ai suoi concittadini sarebbe piaciuta. E non si sbagliava. Utilizzata all'inizio come pianta medicamentosa, il caffè fu dapprima osteggiato persino dalle autorità religiose che lo definivano “bevanda del diavolo” ma non se ne poté arrestare a lungo la diffusione, promossa sopratutto dallo Stato che capì di avere tra le mani un elemento di introito per le proprie casse e così venne accettata anche dal mondo cristiano.
Giorgio Quadri nel 1775 fu il primo a far assaporare ai propri clienti l'autentico caffè alla turca.
Presto in molte città italiane fiorirono eleganti "Caffetterie" dette anche "Caffè Storici" come il Caffè Greco a Roma, il Pedrocchi a Padova, il San Carlo a Torino.
Anche i Francesi mostrarono di gradire molto la nuova bevanda: si dice che il celebre scrittore Balzac arrivasse a berne cinquanta tazzine al giorno. In Inghilterra il primo locale per la mescita del caffè fu aperto a Oxford. Il caffè dalla metà del '700, sia nel Vecchio sia nel Nuovo Continente, diventa non solo una bevanda unica e inimitabile ma un vero e proprio rito, che si compie quotidianamente in ogni angolo del Mondo.

Il caffè diviene il luogo di manifestazione della borghesia, per la quale il “modo” di vivere diventa più importante dell’ “essere”. Il ritrovo pubblico diventa il luogo privilegiato dove si materializza il personaggio borghese, snob, e in cui si svolgono molti riti sociali, dalle cene d’affari ai flirts, al pettegolezzo, in uno spazio che assume forti connotati teatrali.
“il caffè viennese rappresenta un’istituzione speciale, non paragonabile a nessun’altra al mondo. Esso è in fondo una specie di club democratico, accessibile a tutti in cambio di un’economica tazza di caffè, dove ogni cliente, versando quel modestissimo obolo, ha il diritto di starsene per ore a discutere, a scrivere, a giocare a carte, ricevendo la posta e soprattutto un illimitato numero di giornali e riviste”. S. Zweig, “Il mondo di ieri” (1942).
Diventa anche il luogo di scambi culturali, all'interno del quale amano passare il loro tempo a discutere o meditare molti personaggi noti della società come filosofi, scrittori, politici, che diventandone abituali frequentatori, contribuiscono a darne prestigio e valore.

La fama di "più celebre Caffè letterario d'Europa" il Café Procope di Parigi, sito di fronte a “La Comédie Francaise” deriva dal fatto che i suoi clienti non erano soltanto gli attori, le attrici e gli altri componenti della Comédie, ma anche e soprattutto degli intellettuali, filosofi, letterati, da Voltaire a George Sand, Balzac, Victor Hugo, Diderot, anche  il giovane tenente Napoleone che una sera lasciò in pegno il suo Bicorno per non avere avuto il denaro necessario a pagare le consumazioni offerte ai suoi amici. Il "Café Procope" esiste ancora, anche se non più esercente la brillante attività che lo rese famoso in tutta Europa, ossia la produzione di gelato.

I BAR oggi: luoghi e spazi
Anche se il bar come spazio è ormai standardizzato in tutto il mondo e quindi è riconoscibile da specifiche invarianti (per definizione, luogo in cui si servono principalmente bevande alcoliche e analcoliche, solitamente costituito da un bancone con sgabelli e tavolini per il consumo di dolci bevande e piccoli manicaretti) esistono comunque alcune varianti, leggibili soprattutto quando nello stesso luogo vengono offerti più servizi diversi tra loro, come nel caso di Bar/Gelaterie, Bar/Pasticcerie, Lounge Bar ecc.

Un esempio di ulteriore variazione sul tema del bar è rappresentato dall'American bar, nome con il quale vengono indicati tutti quei locali in cui si consumano principalmente cocktail, bevande miscelate o superalcolici. Questa tipologia di bar iniziò a diffondersi in America negli anni Trenta del XX secolo, quando i cocktail cominciarono a prendere piede sempre più negli Stati Uniti: nel 1933, si concluse infatti l'era proibizionista, e il mercato dei liquori trasse nuova linfa proprio dalle bevande miscelate.
Rapidamente la moda si diffuse anche in Europa, dove numerosi gestori di bar ribattezzarono American Bar i propri locali, all'interno dei quali oltre agli alcolici, si distribuiva anche caffè, avvicinandoli così all'attuale concetto di bar. Il più antico American Bar in Europa è quello del Savoy Hotel di Londra: fu aperto nel 1898, quando vennero introdotti per la prima volta i cocktail nella capitale britannica.
Dalla prima bottega del caffè, al bar come oggi inteso è passato qualche secolo, ma il rito continua ad essere ben radicato nelle abitudini di tutto il mondo.

domenica 18 settembre 2011

I LUOGHI DEL CIBO



Eccomi qui! Finalmente un po' di tempo per continuare a parlare dei luoghi e degli spazi per il consumo del cibo! E' orami abitudine di tutti mangiare più o meno spesso fuori casa. Dalla colazione al bar alla cena in trattoria, chiunque ormai può permettersi di staccare dalla quotidianità vivendo un'esperienza che va al di à del solo nutrimento.
Nella nostra cultura infatti pranzi, cene, aperitivi, colazioni, scandiscono la giornata ed hanno un peso sociale specifico; inoltre comunicano, soprattutto nella loro forma collettiva, le relazioni sociali, il grado di importanza e peso nella comunità, delle persone che condividono questa esperienza. Gli aspetti legati alle relazioni sociali si possono racchiudere in due sfere distinte: formalità e informalità. Solitamente il consumo privato del cibo, cioè entro le mura domestiche, è informale ed emozionale. Quando però serve per rafforzare dei legami di parentela o delle relazioni sociali può diventare molto formale. Allo stesso modo, il consumo di cibo in pubblico, può essere informale, nel caso di parenti e amici, e in questo caso si può svolgere all'interno di ristoranti, bar, pizzerie, o formale nel caso ad esempio di cene di lavoro, con consumo prevalente nei ristoranti. Il consumo del cibo in luoghi pubblici non è comunque una consuetudine recente ma affonda le proprie radici in epoche e tempi molto lontani. Mi sono chiesta allora: quando si è sviluppata la consuetudine di recarsi al bar o al ristorante? Quando nascono le prime trattorie, gelaterie, le pizzerie come oggi le conosciamo? Ho raccolto qualche dato e qualche curiosità che penso possa interessarvi. Nei prossimi post pubblicherò voce per voce la nascita di questi luoghi ricchi di significati!

venerdì 16 settembre 2011

NON CE LA FACCIO!


Buongiorno! Vi è mai capitato di perdere dei dati sul PC ? E per colpa vostra per giunta?? A me qualche volta....e l'ho sempre presa con filosofia, riuscendo talvolta a recuperarli, eseguendo invece tutto il lavoro daccapo, in altre. Ma oggi, oggi non ce la faccio!! Il problema è che quando si sta lavorando su PC, non dovrebbero gironzolarti intorno piccole pesti di 3 anni che dilatano le proprie braccine come polpi: non sai da dove, ma sai che prima o poi arriveranno! E faranno danno! Comunque, grazie alla mia dolcissima peste, ho perso alcune modifiche ad un progetto in CAD, e 6 pagine che avrei pubblicato questa mattina sul blog. Si trattava (ormai parlo al passato poiché non c'è modo di recuperarle) di una breve storia sulla nascita di bar, ristoranti, gelaterie ecc. Poiché però mi sembra un argomento molto attinente con i temi esposti in precedenza, mi metterò al lavoro per riscrivere la mia ricerca. Ma non oggi!
Buona giornata.

lunedì 22 agosto 2011

MODELLI DI CONSUMO DEL CIBO


Buongiorno! Dopo la pausa estiva torniamo a parlare del lagame tra cibo e società. Nel precedente post, avevo messo in evidenza quanto sia importante nella progettazione di ristoranti, bar, gelaterie ecc. l'analisi culturale, sociologica, antropologica, l'analisi pluridisciplinare per dirla con un solo termine. Adesso voglio entrare nel merito con una serie di approfondimenti sulle tematiche legate al cibo e ai suoi modelli di consumo, attraverso degli esempi che abbiamo tutti sott'occhio.

“Che cosa è il disegno di una sedia senza “il disegno della sedia”? Una sedia nasce da una sedia, da una sedia, da una sedia….. dal lento sedimentarsi e definirsi nel tempo di infinite esperienze abitative e costruttive, e prima ancora dalla scelta culturale di sedersi sollevati dal suolo piuttosto che sui talloni. Cosa è il disegno di una forchetta senza “il disegno della forchetta”? O meglio ancora, senza la scelta culturale di tagliare e inforcare il cibo a tavola per portarlo alla bocca, piuttosto che usare le mani o due bastoncini e più in generale senza il disegno della tavola apparecchiata e la codificazione della maniera o delle maniere di stare a tavola? D'altronde nessun progettista ha inventato la tavola apparecchiata, nessuno ha inventato la sedia, come nessun architetto ha inventato la casa o l’ufficio” (Mario Bellini).

Ogni cultura ha sviluppato una propria modalità di consumo, in base alla propria storia, all'area geografica di appartenenza e quindi al clima, al tipo di cibo presente in quell'area, attraverso l'uso di strumenti, oggetti e arredi la cui esistenza è assicurata da un progetto d'uso. Nei paesi industrializzati, si può dire che ci sia un certo grado di standardizzazione riguardo ciò, anche in seguito alla possibilità di reperire facilmente qualsiasi cibo, ma forti differenze esistono ancora tra mondo occidentale ed orientale.

Il consumo del cibo sia pubblico che privato, nella cultura orientale, ha una forte connotazione rituale e simbolica, molto diversa da quella occidentale, e che si ritrova sia in ambito privato (basti pensare ad esempio al complesso cerimoniale del thè) che in quello pubblico. Gli ambienti dei ristoranti ad esempio, risultano significativamente diversi da quelli occidentali, sia per la distribuzione spaziale che per gli oggetti che vi si trovano. Così in un ristorante tradizionale giapponese ci sarà un’area per il deposito della calzature, un’area per gli spettacoli e non mancherà il giardino interno. Delle stuoie (i tatami) saranno posizionate all’interno della sala da pranzo secondo uno schema geometrico preciso e i tavoli, alti non più di 40 cm, saranno apparecchiati con una serie di strumenti altamente specializzati come bacchette, piccole zuppiere, ciotole. Il ristorante occidentale vedrà nella grande sala ritmata dalla presenza dei tavoli apparecchiati, il luogo della manifestazione sociale. I locali di servizio e la cucina saranno ben separati da essa affinché gli odori non arrivino ai commensali, mentre l’ingresso prevederà un bar e un guardaroba. Tralasciando le differenze culturali tra oriente e occidente, già da questo esempio, si evince lo stretto rapporto tra cultura e progetto, argomento affatto nuovo nel campo dell’architettura come in tutti quelli dell’arte, ma che qui diventa altamente condizionante.
Inoltre non è sufficiente capire la funzione di un oggetto per usarlo correttamente. Questo perché la tavola apparecchiata consta di un sistema di relazioni che lega i coperti alla forma e alla dimensione del tavolo, la composizione di ogni coperto e il tipo e la sequenza di portate, la ricchezza dei materiali al livello sociale dell’uomo, gli oggetti al loro uso “appropriato”, secondo il codice delle buone maniere.

Nei ristoranti questo aspetto si amplifica ancor più. In essi ritroviamo il progetto di oggetti, arredi, spazi, che concorrono a definire un vero e proprio rito, classificabile secondo dei segni e delle relazioni precise. Nel progetto intervengono quindi relazioni che coinvolgono gli elementi dell’ambiente costruito, siano esse estetiche, materiali, comportamentali, sociali. Tutti abbiamo visto “Pretty Woman” e ricorderemo la scena in cui Julia Roberts (nei panni della protagonista, una prostituta) non riesce ad usare in modo giusto gli strumenti della tavola perfettamente apparecchiata di un ristorante di lusso, e le schizza via una lumaca nel bel mezzo di un pranzo d'affari!
Questo film mi da lo spunto per un'ultima riflessione: il consumo di cibo in pubblico, ha una forte connotazione di riconoscimento sociale; alla necessità di alimentarsi si sovrappone spesso il piacere di mostrarsi, nel caso di ristoranti di lusso, ribadendo l' appartenenza ad un certo gruppo sociale.

Nel rapporto tra il cibo e il suo consumo, la funzione simbolica del primo si moltiplica e si rafforza attraverso i rituali collettivi di consumo. Questi, attraverso la loro ripetitività e il loro impatto sul senso di appartenenza, fondono in un’unica rappresentazione il cibo ed i comportamenti ad esso legati in un potente legame di autoriconoscimento e di fusione sociale.

domenica 31 luglio 2011

PROGETTARE GLI SPAZI DEL MANGIARE


Artec si occupa di progettazione e interior design di locali commerciali specializzati nel settore alimentare, e principalmente bar, gelaterie, pasticcerie, ristoranti.
In quanto luoghi di consumo del cibo, la loro progettazione non può occuparsi solo degli aspetti qualitativi e quantitativi dello spazio fisico, ma è per forza parte di un progetto più ampio, che spesso esula dalla logica disciplinare, e che è legato principalmente al valore simbolico, sociale, culturale attribuito, seppur inconsciamente, al cibo.
Quanto detto implica la necessità di effettuare studi incrociati che rendono complessa la progettazione. Possiamo anzi dire che esiste una complessa cultura del mangiare, che coinvolge molteplici aspetti, e che si tramanda attraverso un sistema di norme ed eccezioni, che non si configurano solo come progetto d’uso dell’ambiente fisico, ma partecipano attivamente alla sua formazione.
Certo un tema così specifico come quello della progettazione degli "spazi del mangiare", così legato all'ambito culturale in cui si inserisce, non può prescindere da alcune considerazioni generali sulle trasformazioni della società che è fruitrice di quegli stessi spazi. Innanzitutto abbiamo assistito negli anni passati ad un processo di globalizzazione che ha coinvolto molti settori tra cui anche quello alimentare, con conseguente omogeneizzazione o azzeramento delle caratteristiche specifiche di paesi e culture, in nome di una fusione di razze e costumi pronta ad allargare il nostro universo oltre i confini territoriali; ciò nel campo dell’alimentazione ha provocato una spaccatura tra cibo e territorio, tra il momento della produzione di uno specifico prodotto e il momento del suo consumo.

A questa fase di fusione e omologazione, si è poi affiancata una seconda fase, dialettica rispetto alla prima, in cui il particolare è tornato ad emergere sul generale, il locale sul globale.  Essa ha teso a ridare un “senso” al cibo, attraverso la conoscenza dei processi di produzione, la provenienza territoriale e la loro collocazione storico-culturale, ma anche attraverso una rieducazione al “gusto”, un concetto questo, assai ampio ed applicabile ai settori più svariati della cultura, ma che dal cibo trae gran parte del suo significato simbolico e primordiale.

Ma alla sempre maggiore ricerca sui cibi, sul loro rapporto con il territorio e sulla loro storia, non c’è ancora un adeguato studio degli spazi in cui essi vengono consumati, o meglio non c'è la diffusione di una cultura pluridisciplinare che riesca ad interpretare e tradurre in spazio fisico i diversi ambiti antropologico, sociale, psicologico, culturale.

Lo scopo delle nostre pubblicazioni è quello di divulgare la conoscenza acquisita, dialogare con colleghi architetti e interior designers, ma anche con appassionati di arredamento, e mettere a disposizione di tutti il nostro lavoro di ricerca. "Arrediamo con gusto" vuol essere in questo senso una finestra verso questa visione inter e pluri disciplinare, il tentativo di colmare una lacuna spesso presente nella progettazione di questi spazi.